Insegniamo ai bambini il rispetto per la diversitàI bambini, come gli adulti, sono abituati a sottolineare i difetti degli altri invece che a rispettarli. Di Mariagiovanna Grifi
Durante gli allenamenti di calcio Giulio riceve continui complimenti dall’allenatore e dai compagni, i suoi genitori sono fieri di avere un “campione” in famiglia. Quando parla di Luca, un po’ goffo, lento e scoordinato, assume un tono dispregiativo. Pensa che dovrebbe fare un altro sport dato che è incapace di giocare a calcio. Due piccoli esempi quotidiani per dimostrare quanto poco siamo abituati a rispettare gli altri e le loro capacità. E questa nostra intolleranza ha radice nell’infanzia, quando gli adulti ci incitano a essere sempre i migliori, a “far vedere” alla maestra o all’allenatore quanto siamo più bravi degli altri. È giusto spronare i propri figli a fare sempre meglio, ma non a scapito delle persone che, per un motivo o per un altro, non hanno le stesse potenzialità. Non siamo tutti uguali e ognuno di noi è più portato per delle attività e meno per altre. Questo non significa, però, che bisogna escludere dal gruppo chi è più lento, o meno intuitivo, o presenta vere e proprie difficoltà. Purtroppo siamo culturalmente abituati alla discriminazione e al giudizio verso gli altri e a sottolineare i “difetti” di chi non ce la fa. Un buon educatore, insegnante o genitore che sia, ha il compito di insegnare il rispetto. Di spiegare ai piccoli che se una persona a scuola non è “brillante” magari ha altre qualità che possono essere espresse in un campo diverso (sport, arte, relazioni) e non è giusto deriderla o ritenerla stupida. Di sensibilizzare i bambini ad accettare che in un gruppo (per esempio sportivo) la persona meno portata può essere comunque preziosa e, come tutti, ha bisogno di fare le sue esperienze per crescere. Soprattutto, è necessario per una comunità solidale e pacifica che si cominci a dare valore alle persone con tutte le loro diversità e diversabilità (“diverse abilità” – è così che oggi vengono definiti i disabili, perché considerarli “non abili” significherebbe inevitabilmente escluderli da tutto), desiderosi di scoprire quelle potenzialità che ogni essere umano ha dentro di sé, ma che a volte non riesce a tirare fuori. Tutti sono bravi in qualcosa. Ma alcune persone si sentono così insicure e incapaci nelle attività quotidiane, nel confronto con gli altri, da non rendersene conto finendo per costruirsi un’identità “da perdente”. Sarebbe così semplice se vivessero rapporti alla pari, in cui ognuno valorizzasse le capacità dell’altro e non solo le proprie. |
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